Editoriale

Calcio: I mondiali e l’apocalisse italiana

E alla fine l’apocalisse arrivò. Come nelle peggiori superstizioni, l’apocalisse temuta ma evocata alla fine ha scelto la Scala del calcio per annientare in una notte per niente magica il nostro Calcio, sul piano dell’immagine e su quello dei conti.

Niente introiti e  niente pizze con gli amici, il che al di là della frustrazione relazionale, può giovare alla linea, visto che ai Mondiali tiferemmo tristemente gli altri. Però, diciamolo subito, questa è un’apocalisse all’italiana, dove i profeti della s-Ventura sono anche gli Integrati del sistema.

Delusi e amareggiati, si dicono Tavecchio e Ventura. E noi allora, che non avremo neanche l’anestetico quadriennale del pallone Nazionale? E le dimissioni? Istituto forse banale ma che ci avvicinerebbe alla normalità  meritocratica dei paesi occidentali che citiamo a modello se praticate nel tempo giusto, cioè subito.

Dopo i terribili 180 minuti con gli armadi svedesi, Tavecchio avrebbe dovuto dimettersi “immediatamente” da Presidente della Federcalcio perché ha sbagliato a scegliere Ventura per il dopo Conte.

Ventura che è un uomo simpatico e un buon allenatore, avrebbe dovuto dimettersi “immediatamente” perché ha sbagliato le due partite con la Svezia, che ha fatto un solo tiro e ci ha eliminato con un autogol .

Noi di tiri solo a San Siro ne abbiamo fatti quasi trenta, ma la palla non entrava, e Immobile e Candreva hanno sbagliato gol che in campionato non sbaglierebbero. Ricordate il grande Brera che quando Paolo Rossi si inchinò per segnare il gol di testa alla Polonia nella semifinale dei Mondiali dell’82 in Spagna che poi vincemmo, citava l’armonia della Musa Eupalla?

A san Siro invece le divinità del calcio erano incazzate con noi, con la nostra pochezza, con la nostra ansia, con il nostro non gioco, e un maleficio vichingo ha murato la porta svedese contro ogni, apprezzabile, sforzo agonistico.

Questione di centimetri certo, come in tante altre geometrie del destino. Ma a proposito di geometrie, che hanno a che fare con la tattica e le strategie del campo, Ventura, all’andata e al ritorno, ha fatto giocare uomini non in forma o in panchina nei loro club, ha fatto giocare poco i talenti giovani e nei ruoli sbagliati.

Nel sistema degli Integrati a cui accennavo prima, che sono poi gli stessi apocalittici mascherati (copyright Umberto Eco), ci siamo stavolta anche noi giornalisti. I commenti in genere sono stati deprimenti quasi come gli azzurri. Il nostro calcio è da riformare, certo, ma nessuno dice con esattezza come.

Troppi stranieri certo, ma non lo sapevamo già da anni? Perché senza ricorrere all’ultima umiliazione del 1957, sessant’anni fa, quando non andammo ai Mondiali, non razionalizziamo che da dieci anni, dopo Berlino, non vinciamo più niente.

Nel 2010 e nel 2014 non siamo arrivati neanche agli ottavi, non era già un segnale evidente di un declino che andava affrontato in un altro modo? E poi, parola magica di queste ore, i vivai. Non si sa se parliamo di piante o di giovani campioni.  Chi è papà di figli in età da pallone, sa che tranne in rari casi, nei campetti e nelle scuole ci sono più nevrosi e genitori maleducati che talenti e maestri strepitosi. Però per non fare la lagna da Integrato, nel nostro campionato, che non è più per motivi anche finanziari il più bello del mondo, qualche talento c’è.

Insigne è il profeta della grande bellezza napoletana, autore non Sorrentino ma l’uomo con la tuta, cioè Sarri. Certo che se poi Ventura a San Siro, al di là dei ruoli, fa giocare uno sbiadito Gabbiadini che ha lasciato il Napoli per l’Inghilterra, più che una fuga di cervelli all’estero, altro pezzo forte degli Integrati, bisognerà parlare di cervelli in fuga dai corpi di appartenenza, almeno per il tempo della partita.

Per concludere torniamo sulle dimissioni. L’unico che è andato in pensione con una piccola Ape calcistica è stato Buffon. Il più grande portiere del mondo ha fatto i complimenti agli avversari, non ha recriminato contro il sistema o contro gli Dei (in senso metaforico), come fanno gli Integrati. Ci ha messo la faccia e gli occhi, ha pianto.

Le lacrime, mi diceva un grande regista russo con cui ho lavorato da giovanissimo, lavano l’anima, i peccati e permettono il cambio di scena. Ora le dimissioni arriveranno, un nuovo allenatore pure, ma quanto tempo ci vorrà per cambiare scena, per lavare dalla nostra anima questa brutta figuraccia tutta italiana?

Claudio Brachino

Il Giornale

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