Editoriale

Covid: perché non si dice?

Qualche volta 2+2 fa 6, diceva il grande scrittore mittleuropeo Musil.

Una provocazione filosofica per dire che i numeri non sono totalmente oggettivi, ma si prestano a una variabilità interpretativa a secondo del contesto.

Questa variabile diventa spesso, nel Discorso pubblico della politica, malizia, ambiguità, omissione, manipolazione mediatica delle masse.

Già nella fase tragica del Covid, il bollettinismo quotidiano del Terrore virologico al Potere avrebbe richiesto maggiore analisi divulgativa.

Ma lasciamo perdere, veniamo al presente e facciamo subito una premessa etica: l’ unico numero di cui non vogliamo discutere è quello delle vittime, fosse anche una sola, come è accaduto proprio nelle ultime 24 ore in Italia. Per il rispetto che richiede ogni vita che se ne va e per il rispetto che si deve al dolore dei familiari.

Su tutto il resto però si deve e si può fare le pulci.

Se si dice che i 1.444 contagi di ieri sono un dato preoccupante e si lascia lì come un numero fra gli altri i 99.000 tamponi eseguiti, si continua ad alimentare la paura della gente, anziché tranquillizzarla.

Tranquillizzare non vuol dire negare, ma se il fondatore della Scuola dello Sguardo, il romanziere francese Robbe-Grillet fu messo al rogo, culturalmente, per aver fatto una domanda sull’Olocausto, qui facciamo le domande che servono.

Perché non si dice con chiarezza che quello che sta accadendo era stato previsto con l’estate, le vacanze e la parziale riapertura della mobilità internazionale?

Perché non si dice che il maggior numero dei contagi è relativo non alla maggiore aggressività del virus ma al maggior numero dei tamponi?

E’ la famosa tracciabilità che ora comincia a funzionare dopo lo shock iniziale di febbraio e che ci dice chi sono gli asintomatici. I nuovi malati spesso sono giovani e spesso appunto stanno bene.

Perché non si dice con chiarezza che in tutta Italia ci sono 70 ricoverati in terapia intensiva, ovvero quanti ce n’erano nel reparto Covid di un solo ospedale di Genova, precisamente il San Martino nella fase di emergenza?

Ho fatto questo esempio perché il Direttore della Clinica malattie infettive di quell’ospedale, Bassetti, ha dato questi dati aggiungendo che i medici sono più preparati a gestire la situazione e che la percentuale di positività che si trova nei tamponi arriva oggi al massimo al 2,5%. Siamo ben lontani dal 30% di fine marzo.

Insomma la battaglia non è finita anzi sarà ancora lunga, guai ad abbassare la guardia e a non rispettare le regole, ma guai anche a dire che siamo vicini a un potenziale nuovo lockdown, magari breve, magari a macchia di leopardo sul territorio.

Sono i numeri stessi, nella coincidenza di oggettività del dato e di esatta lettura del dato stesso, a negare questa necessità.

Se poi si vuole uccidere per sempre l’economia di questo paese, mandare in soffitta la Costituzione non votando e non aprendo, o aprendo male, le scuole, bisogna prendersi delle responsabilità. E magari andare a casa, come del resto prevede la democrazia.

Claudio Brachino

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