Editoriale

Claudio Brachino

Brachino, il giornalista filosofo

Nato a Viterbo, il 4 ottobre 1959, Claudio Brachino si laurea a Roma in Lettere e Filosofia e durante gli anni dell’Università conosce il grande Eduardo De Filippo. Con il quale collabora nella stesura di “Mettiti al passo!”, commedia portata in teatro e scritta per Einaudi nel 1982, sotto lo pseudonimo di Claudio Brachini.

Non solo, ma, il noto conduttore televisivo e promettente saggista, Claudio Brachino, appunto, entra in contatto anche con un altro grande maestro, Nikita Michailov.

Vicedirettore di “Studio Aperto”, autore e conduttore di “Top secret”, ha scritto anche il saggio “La macchina da presa teatrale” (“Quaderni del Teatro di Roma”, 1988). Per Mondadori ha pubblicato “Ricomincio da te” (1997), “Non c’è due senza te” (1998), “Top Secret” (2005).

Direttore, ha mai giocato a calcio?

“Sì, assolutamente, molto da bambino. Essendo figlio unico, qualche volta facevo molti ruoli, dall’attaccante al difensore; anche il portiere nei tornei. Molto anche a livello amatoriale; sono stato anche capitano della squadra di Mediaset Star, ruolo attaccante”.

Il giocatore e la squadra del cuore di Claudio Brachino, viterbese (nato il 4 di ottobre 1959)?

“Io sono viterbese, e, quindi, essendo abitante del Lazio e non di Roma, c’è libertà di tifo; la mia squadra della mia infanzia era il Milan e il fato ha voluto che io venissi assunto da Galliani. Quindi, ho avuto la possibilità di conoscere il Milan da dentro. Molti mi dicevano “Ah, sei diventato milanista perché lavori in Fininvest!”, invece, molti non sanno che il mio mito da piccolo era Pierino Prati, bomber sia del Milan che della Roma. E’ chiaro che negli anni dell’Università a Roma se ci fosse una simpatia, diciamo, successiva al tifo primario, è quella per la Roma di Falcao. Ma, parliamo di una simpatia”.

Lei ha collaborato – lei è saggista oltre che conduttore televisivo – anche nella stesura di una commedia (“Tutti in pista!”) con il grande Eduardo De Filippo. Cosa le è rimasto di questo genio del teatro italiano?

“Sì, io ho collaborato con Eduardo in una certa fase della sua vita, quando lui ha fatto il professore a contratto all’Università di Roma, precisamente alla cattedra di Storia del teatro e dello spettacolo. Io ero studente di Lettere, e, dopo regolare Concorso, ho partecipato a questo Corso di Drammaturgia. Tra le 400 persone del Corso, che scrivevano, che non scrivevano, grandi e piccoli così, Edoardo ha scelto il mio testo per riscriverlo insieme, metterlo in scena come regista e pubblicarlo con Einaudi.

Avevo poco più di vent’anni, e mi ritengo un uomo fortunato perché quando conosci i grandi da piccolo, come dico io, ti danno una lezione che ti rimane tutta la vita. Ti rimane la percezione della grandezza, ti rimane una grande lezione di vita e di arte, e ti rimangono una serie di regole che ti porti appresso per te stesso e per quello che fai per sempre.

Di lui mi è rimasto molto, anche perché Eduardo diceva sempre che la vita di uno uomo non avrebbe senso se non passasse nell’esperienza di un altro. Poi, in realtà, lui mi aveva scelto come giovane allievo per diventare drammaturgo, io non ho fatto più il drammaturgo, ma ho continuato, in fondo, la lezione di Eduardo in quello che ho fatto. A mio modo, ovviamente, senza fare confronti e paragoni, eh, perché, insomma, poi ognuno realizza quello che può”.

Felicità, cos’è un’utopia e basta? Anche giustizia e libertà sono solo concetti astratti di fronte alla realtà del quotidiano? Quand’è che saremo veramente liberi?

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